Caine premiato al Festival del cinema dei diritti umani

Grazie. “Caine” vince il PREMIO GIURIA DIFFUSA (bellissimo perché scelto da 95 persone da 15 regioni italiane) nel Festival del cinema dei diritti umani. Io e le mie compari Assia e Simona siamo felici. Dedichiamo questo premio alle nostre Caine dei penitenziari di Fuorni e Pozzuoli. Grazie a Rai3, RaiPlay, Doc 3, Annamaria Catricalà e Fabio Mancini. Essere scelti tra 200 film da 40 paesi ci riempie di orgoglio. Grazie alla giuria e agli organizzatori del festival, in particolare grazie a Mario Leombruno.

Caine e Papa Francesco

La verità? Non amo molto scrivere. Soprattutto quando poi non devo farlo per lavoro.

Prima dell’estate ho fatto una cosa che per me è un po’ contronatura: ho scritto una letterina. L’ho scritta a Papa Francesco. L’ho fatto perché ho capito quanto sia importante per le mie Caine, le detenute protagoniste del mio documentario, la dimensione religiosa e spirituale.

Ho capito quanto sia importante per loro l’accoglienza e Francesco ha sempre avuto parole piene d’amore per gli ultimi e non ha mai dimenticato i detenuti, lo ha fatto anche a Pasqua. Lo invitavo a guardare il documentario, ad ascoltare le loro storie e la canzone scritta da loro con Assia Fiorillo, ad avere un pensiero anche per quelle ragazze.

Non mi aspettavo nulla. Invece è arrivata la risposta, per conto di Francesco, dell’ispettore generale dei cappellani. Ci dice (condivido con Assia e Simona Petricciuolo) che Francesco pregherà per noi e ci esorta a “proseguire nell’impegno di scoperta di un’umanità ferita”. Non pensavo che io, così profondamente laica, mi sarei emozionata.

L’inchiesta per Tpi sui tamponi falsi a “Non è l’arena”

Grazie a Massimo Giletti e a Non è l’Arena per aver parlato della mia inchiesta sui falsi tamponi. Grazie per le belle parole pubbliche e private. L’inchiesta è stata pubblicata da Tpi e in studio c’era il direttore Giulio Gambino. Qui la puntata. Dei falsi tamponi si parla a 1h e 14m ma Prima ci sono altre cose che vale la pena vedere e c’è una parte molto interessante sugli scontri a Napoli con una bella analisi di Francesco Piccinini.

Ultras infiltrati dai clan del sottoproletariato mafioso ed elementi di estrema destra: ecco chi ha messo a ferro e fuoco Napoli

Della povertà è facile approfittarsi. Di Napoli pure. Il mix delle due cose è una storia già vista. Ieri l’ennesimo intervento sceriffico del governatore della Campania Vincenzo De Luca ha scatenato paura, esasperazione e speculazione.

Da un lato la gente che teme di perdere quel poco che ha, in un territorio sfiancato (come in tutta Italia) dalle conseguenze del lockdown e della pandemia, vittima della evidente incapacità politica di far fronte alla nuova emergenza e con difficoltà economiche ormai cristallizzate nel tempo, compromesso dalle difficoltà lavorative e dalla mancanza di opportunità, aggredito e spesso ostaggio delle organizzazioni criminali.

Dall’altro i gruppi della cosiddetta violenza organizzata che periodicamente interviene, cavalca, strumentalizza, il disagio sociale. E quindi chi c’era ieri in strada a manifestare? I ricordi tornano indietro agli scontri di Pianura… Questa è la mia analisi (mi è stata chiesta da Tpi). Ah volevo dire e l’ho precisato anche qui, che molti dei giornalisti che sono stati aggrediti sono precari e partite iva e con le stesse angosce di chi protesta. Solo che il loro lavoro è quello di andare avanti e raccontare.

https://www.tpi.it/cronaca/ultras-estrema-destra-devastato-napoli-20201024687099/

L’omofobia nelle omissioni. L’omicidio di Maria Paola.

Incidente stradale? Condoglianze alla famiglia? (questo dicono i candidati alle elezioni di Caivano che si sono fermati per la morte di Maria Paola Gagliano, assassinata da suo fratello che non sopportava che avesse una relazione con una donna, anzi con un trans, perché quella ragazza si sentiva Ciro). Comincio dai politici e con le due domande iniziali. Ma avete capito che l’ha uccisa il fratello? Che è un caso di omofobia? Che quello che chiamate incidente stradale i carabinieri lo hanno chiamato omicidio preterintenzionale? O avete paura di perdere qualche voto? Certo… i morti non votano e invece al parco verde si. E passiamo al parco verde: non accorrete in massa dicendo che lì ci abita prevalentemente brava gente, gente umile. Perché (e lo dico con cognizione di causa potendomelo permettere), il parco verde è una cloaca. Continua a leggere

Mario Paciolla e altri volontari in pericolo per una fuga di notizie. Le risposte che l’Italia deve pretendere dall’Onu.

Finora ho evitato di parlare del caso di Mario Paciolla e della sua morte che ufficialmente per le autorità investigative è un presunto suicidio. Ho evitato perché evito di lanciarmi in acrobazie giornalistiche da remoto non potendo lavorare sul campo. Mi sono ripromessa però, accogliendo le sollecitazioni di amici di Mario e amici miei, di consultare qualche fonte che ho in Colombia e di tenermi aggiornata con il lavoro dei colleghi colombiani che sono coraggiosi, bravi e scrupolosi.
Dopo aver appreso del lavoro svolto da El Espectador e in particolare dalla collega Claudia Julieta Duque e aver sentito più di una fonte interna a questa vicenda credo che l’Italia debba pretendere una serie di risposte dalle autorità colombiane e soprattutto dai vertici delle missioni ONU in Colombia. Metto un po’ di fatti in fila così proviamo a fare insieme un po’ di chiarezza: Mario e come lui anche altri volontari e lavoratori della missione Onu in Colombia, sono stati gravemente esposti a causa di una fuga di notizie su una relazione delicatissima che riguardava un bombardamento in cui morirono 7 minorenni (numero ufficiale ma forse erano molti di più), reclutati insieme ad altri ragazzini. Il bombardamento riguardò l’accampamento di un ex guerrigliero delle Farc. Su questa vicenda aveva lavorato con grande rigore una squadra di persone in forza ad una missione dell’Onu. Tra questi anche Mario Paciolla. La loro relazione anziché essere blindata e utilizzata con il riserbo strettissimo, fu data in pasto ad una bagarre politica che culminò con la dipartita del ministro della difesa. In particolare, sostengono fonti interne alle missioni Onu e scrivono i colleghi di El Espectator, la gestione della corrispondenza dei volontari e dei lavoratori è nelle mani di personaggi coinvolti nei sistemi di intelligence sudamericani e con vari trascorsi militari oltre che nella passata gestione degli accordi di pacificazione. Va da se che in un paese esplosivo, sotto diversi profili come la Colombia, la diffusione di informazioni e la fuga di notizie su relazioni e dossier come quello a cui aveva lavorato Mario certamente costituiscono un pericolo per chi nella missione Onu ha redatto i documenti. Mario dal canto suo aveva dato segnali di insofferenza limitando tutti gli accessi social denunciando preoccupazioni per tentativi di hackeraggio e intromissioni informatiche, tanto da effettuare backup dei computer e chiedere, durante una visita in Italia, di separare le linee di accesso ad internet. Inoltre come è emerso subito, Mario Paciolla aveva detto di sentirsi usato, sporcato, che non aveva fiducia più nella missione. Inoltre la famiglia non ha mai ricevuto i suoi effetti personali che però a quanto pare mancano dalla scena del delitto/suicidio, e in particolare alcune fonti hanno riferito ai giornalisti colombiani di aver visto negli uffici della missione il mouse del computer di Mario sporco di sangue, circostanza ovviamente smentita dai funzionari. Il legale della famiglia Paciolla dice di non aver saputo nulla in merito in quanto non ha potuto visionare ancora il fascicolo. Nei giorni scorsi sono stati arrestati 4 poliziotti colombiani per ostruzione alla giustizia e quindi per aver ostacolato le indagini. Dall’appartamento di Mario risulta che furono prelevati oltre otto milioni di pesos (circa 1.820 euro), carte di credito, passaporti, una macchina fotografica, materiale informatico, varie agende, ricevute e numerose fotografie.
A questo punto credo di aver messo in fila qualche dato per capire. Non mi dilungo oltre e vi consiglio di approfondire per capire meglio lo scenario, politico e sociale, consultando direttamente la stampa sudamericana.
Però mi pare importante che noi giornalisti italiani, oltre a sostenere il lavoro dei colleghi sul posto, diamo dei suggerimenti, ovvi, banali, non richiesti, al ministro degli esteri italiano e alle altre autorità nazionali e internazionali. D’altronde è anche questo il nostro compito, rompere le scatole, fare da pungolo. Quindi… Innanzitutto l’ONU deve e sottolineo deve, fare chiarezza su quanto sta accadendo nelle missioni in Colombia. E l’Italia lo deve pretendere. E’ vero che alcuni effetti personali di Mario Paciolla sono stati sottratti? E’ vero che Mario e gli altri volontari sono stati messi in pericolo per la diffusione a scopo politico di notizie riservate? E’ vero che si sono verificati attacchi hacker? Chi poteva avere accesso alla corrispondenza dei lavoratori e dei volontari della missione Onu? Chi ha diffuso le informazioni? Chi ha inutilmente esposto Mario e gli altri? Si stanno prendendo precauzioni e misure di sicurezza per gli altri volontari? Mario pare avesse chiesto aiuto al capo della sicurezza delle missioni Onu perché si sentiva in pericolo. Lui cosa ha fatto? Gli ha risposto? Lo ha tutelato? Siccome è stato proprio lui a trovarlo impiccato, come mai ha allertato le autorità dopo 30 minuti? Perché far passare questo tempo? Come mai la casa è stata ripulita con la candeggina? Quando è stato fatto questo lavaggio? Visto che la scena del crimine è stata irrimediabilmente inquinata da poliziotti infedeli, successivamente chi ha garantito per i successivi accertamenti e verifiche? Chi ha esattamente presenziato alle autopsie sul corpo di Mario, con quale ruolo e con quali effettive garanzie per la famiglia? Ma soprattutto perché, perché, perché l’Onu non collabora?
P.s. Ciao Mario, mi dispiace non essermi ricordata del nostro incontro al festival del giornalismo giovane. Per quello che posso e rispettosa del lavoro altrui, farò il possibile perché la tua storia non finisca nell’oblio.

Il mio “Caine”

E quindi Caine è nata. Grazie per aver accolto questo lavoro e tutto l’amore e la stima che mi sono arrivati. E’ stato un percorso intenso, bellissimo ma anche molto difficile. Anche professionalmente. Dover immaginare il film, realizzare le interviste, fare le riprese e poi vedere e montare giornate intere di girato (per fortuna qui c’era anche Simona Petricciuolo con cui ho la fortuna di lavorare), è stato complicato e sorprendente. Ma a me piacciono le sfide e quindi sono andata fino in fondo. D’altronde non poteva che essere così perché capite bene che entrare nelle carceri in questo modo non è ordinario. Ora ripenso a tante cose e magari ve le racconto più giù su questo post, appena avrò finito i miei ringraziamenti. Caine arriva in un momento non semplice della mia vita professionale e umana e per me è balsamo sui lividi. Grazie ad Assia Fiorillo, questo lavoro non avrei potuto farlo con nessun altra e grazie per avermi fatto partecipare ai testi delle tue canzoni. Grazie a Simona per tutto l’aiuto. Grazie alle ragazze detenute per aver voluto scambiare con me un po’ di vita, grazie alle direttrici delle carceri di Fuorni e Pozzuoli Rita Romano e Carlotta Giaquinto. Grazie alle educatrici Monica Innamorato e Adriana Intilla, grazie alle agenti di polizia penitenziaria. Grazie alla Rai3, a tutto lo staff di Doc3 e soprattutto ad Annamaria Catricalà e Fabio Mancini. Grazie ad Anna Riccardi per aver organizzato la più emozionante proiezione possibile. Grazie a chi c’era. Grazie a chi mi ha scritto (conto almeno un migliaio di contatti). Grazie a tutti i colleghi che si sono occupati di Caine: maurizio mannoni e Tg3 Linea Notte, Radio Rai, Radio Marte, Carmen CredendinoGianni Simioli e Radio MarteMarta Serafini e il Corriere della Sera, @Enzo D’Errico e il Corriere del Mezzogiorno, @ciro oliviero, Il Fatto QuotidianoGiovanna TrinchellaMaria NocerinoGiorgio Verdelli e poi grazie a Sergio D’Angelo, grazie a Salvatore Isaia e a Eleonora de Majo.
Se volete rivedere Caine o volete consigliarlo ora è su Raiplay.
Vi lascio raccontandovi il percorso emozionale di questo lavoro che ho scritto ieri per il Corriere del Mezzogiorno:
“Non ci avevo mai pensato veramente ai sensi di colpa, al dolore per la mancanza delle persone che ami, alla sensazione di fallimento per una vita buttata via, alla frustrazione di camminare in circolo in pochi metri quadri scansando le spalliere dei letti a castello, alla sensazione di dover mettere da parte ogni pudore se vuoi piangere, se vuoi ridere, se vuoi amarti, se hai fame, se vuoi solo restare zitta e se desideri che gli altri stiano in silenzio. Non ci avevo mai pensato che a volte si può non dormire per settimane intere perché la colpa ti sfonda lo stomaco o per le urla di una tua compagna di cella che è in crisi di astinenza. Tu non puoi farci nulla. Proprio nulla. Non ci avevo mai pensato che a volte si può avere paura perfino di uscire dalla galera perché non si sa se si troverà qualcuno disposto a riabbracciarti o perché sarà difficile che non ti considerino una reietta, uno scarto della società, perché sarà difficile che ti diano un’opportunità per lavorare e sarà invece facilissimo ritornare nell’abisso di una esistenza criminale. Non ci avevo mai pensato nonostante la strada, la tanta cronaca, il lavoro immersivo fatto per provare a capire e raccontare. Poi un giorno mi è stata data la possibilità di varcare la soglia di due penitenziari e di poterlo fare per tanto tempo tutte le settimane. Volevo provare a fare un documentario/reportage sulle donne detenute, sulle loro storie e in qualche modo raccontare con uno sguardo diverso il nostro territorio. Come sempre senza fare sconti o fornire alibi ma cercando di andare a fondo nelle cose e usando un pretesto che potesse toccare le corde di tutti, la musica.
“Caine” è nato così, come la testimonianza di un esperimento. È il racconto dello scambio tra le detenute e una cantautrice fuori dall’ordinario, Assia Fiorillo, e alla fine anche con me che riprendevo, ne facevo la cronaca e provavo a costruire un racconto che fosse rispettoso della verità e delle loro vite. Alla fine tutto questo si è trasformato in una canzone scritta da tante mani e tante anime e in un documentario che è il racconto autentico di una città controversa e appassionata come è Napoli.
Nel documentario così come nella canzone “Io sono te”, che anticipa il disco in uscita di Assia, abbiamo messo insieme i loro pensieri, costruendo un testo che rappresentasse sia loro che noi e comunque tutto quello che stavamo vivendo. Il carcere e i diritti umani, la strada, la zona grigia di certi quartieri, l’ineluttabilità di certi destini, la vita criminale, il pentimento, il non pentimento, la maternità, l’esempio (nel bene e nel male), l’amore e la lontananza, la rabbia, il riscatto, la solitudine, la malinconia. E poi anche il mondo di chi sta fuori, la consapevolezza che l’errore può capitare a tutti e che non è indifferente nascere e crescere in determinati contesti o avere un vissuto declinato sul dolore o sulla rabbia. Caine è la consapevolezza che il Caino della Bibbia ma anche quello di Saramago, non nasce così: Caino si diventa, Caino è il prodotto di un contesto e di una esistenza. E allora il documentario è anche un modo per abbattere un muro che qualche volta ci fa pensare di essere i giusti e vedere chi sta dietro le sbarre solo come i reietti. Invece mischiarsi le vite aiuta a capire, aiuta a leggere meglio la storia di cui siamo tutti costruttori.
In questo puzzle di emozioni e notizie ho avuto due compagne di viaggio: Assia, che è stata sempre con me in carcere, e Simona Petricciuolo, giornalista di razza con cui lavoro da tanti anni (per fortuna). E poi ci sono loro. C’è Anna, cresciuta in un quartiere in cui i bambini di 9 anni spacciano e per questo dopo il suo arresto uno dei suoi figli è stato dato in adozione.
C’è Giusi, leader di una piazza di spaccio che racconta di come i soldi sporchi siano illusori e di come si può morire per caso. Con Giusi c’è anche Jessica, giovanissima appartenente ad una famiglia di camorra. Le due ragazze si sono conosciuta dietro le sbarre e vorrebbero sposarsi presto.
C’è Valentina giovanissima rapinatrice per noia. C’è Giovanna che ora è uscita e vuole insegnare ai suoi figli il valore dei soldi puliti e spera che qualche associazione la accolga per la messa in prova.
C’è Mutu, con il corpo devastato dalle violenze degli uomini e ora in carcere per aver cercato di ammazzare il compagno.
C’è Giovanna che doveva scegliere tra la prostituzione e lo spaccio.
E poi c’è la vita dietro le sbarre: i pranzi, i giochi, la sofferenza, i compleanni, il Natale, l’incontro con i bambini. E c’è il mondo fuori che va avanti anche senza di loro”.