Finora ho evitato di parlare del caso di Mario Paciolla e della sua morte che ufficialmente per le autorità investigative è un presunto suicidio. Ho evitato perché evito di lanciarmi in acrobazie giornalistiche da remoto non potendo lavorare sul campo. Mi sono ripromessa però, accogliendo le sollecitazioni di amici di Mario e amici miei, di consultare qualche fonte che ho in Colombia e di tenermi aggiornata con il lavoro dei colleghi colombiani che sono coraggiosi, bravi e scrupolosi.
Dopo aver appreso del lavoro svolto da El Espectador e in particolare dalla collega Claudia Julieta Duque e aver sentito più di una fonte interna a questa vicenda credo che l’Italia debba pretendere una serie di risposte dalle autorità colombiane e soprattutto dai vertici delle missioni ONU in Colombia. Metto un po’ di fatti in fila così proviamo a fare insieme un po’ di chiarezza: Mario e come lui anche altri volontari e lavoratori della missione Onu in Colombia, sono stati gravemente esposti a causa di una fuga di notizie su una relazione delicatissima che riguardava un bombardamento in cui morirono 7 minorenni (numero ufficiale ma forse erano molti di più), reclutati insieme ad altri ragazzini. Il bombardamento riguardò l’accampamento di un ex guerrigliero delle Farc. Su questa vicenda aveva lavorato con grande rigore una squadra di persone in forza ad una missione dell’Onu. Tra questi anche Mario Paciolla. La loro relazione anziché essere blindata e utilizzata con il riserbo strettissimo, fu data in pasto ad una bagarre politica che culminò con la dipartita del ministro della difesa. In particolare, sostengono fonti interne alle missioni Onu e scrivono i colleghi di El Espectator, la gestione della corrispondenza dei volontari e dei lavoratori è nelle mani di personaggi coinvolti nei sistemi di intelligence sudamericani e con vari trascorsi militari oltre che nella passata gestione degli accordi di pacificazione. Va da se che in un paese esplosivo, sotto diversi profili come la Colombia, la diffusione di informazioni e la fuga di notizie su relazioni e dossier come quello a cui aveva lavorato Mario certamente costituiscono un pericolo per chi nella missione Onu ha redatto i documenti. Mario dal canto suo aveva dato segnali di insofferenza limitando tutti gli accessi social denunciando preoccupazioni per tentativi di hackeraggio e intromissioni informatiche, tanto da effettuare backup dei computer e chiedere, durante una visita in Italia, di separare le linee di accesso ad internet. Inoltre come è emerso subito, Mario Paciolla aveva detto di sentirsi usato, sporcato, che non aveva fiducia più nella missione. Inoltre la famiglia non ha mai ricevuto i suoi effetti personali che però a quanto pare mancano dalla scena del delitto/suicidio, e in particolare alcune fonti hanno riferito ai giornalisti colombiani di aver visto negli uffici della missione il mouse del computer di Mario sporco di sangue, circostanza ovviamente smentita dai funzionari. Il legale della famiglia Paciolla dice di non aver saputo nulla in merito in quanto non ha potuto visionare ancora il fascicolo. Nei giorni scorsi sono stati arrestati 4 poliziotti colombiani per ostruzione alla giustizia e quindi per aver ostacolato le indagini. Dall’appartamento di Mario risulta che furono prelevati oltre otto milioni di pesos (circa 1.820 euro), carte di credito, passaporti, una macchina fotografica, materiale informatico, varie agende, ricevute e numerose fotografie.
A questo punto credo di aver messo in fila qualche dato per capire. Non mi dilungo oltre e vi consiglio di approfondire per capire meglio lo scenario, politico e sociale, consultando direttamente la stampa sudamericana. 

Però mi pare importante che noi giornalisti italiani, oltre a sostenere il lavoro dei colleghi sul posto, diamo dei suggerimenti, ovvi, banali, non richiesti, al ministro degli esteri italiano e alle altre autorità nazionali e internazionali. D’altronde è anche questo il nostro compito, rompere le scatole, fare da pungolo. Quindi… Innanzitutto l’ONU deve e sottolineo deve, fare chiarezza su quanto sta accadendo nelle missioni in Colombia. E l’Italia lo deve pretendere. E’ vero che alcuni effetti personali di Mario Paciolla sono stati sottratti? E’ vero che Mario e gli altri volontari sono stati messi in pericolo per la diffusione a scopo politico di notizie riservate? E’ vero che si sono verificati attacchi hacker? Chi poteva avere accesso alla corrispondenza dei lavoratori e dei volontari della missione Onu? Chi ha diffuso le informazioni? Chi ha inutilmente esposto Mario e gli altri? Si stanno prendendo precauzioni e misure di sicurezza per gli altri volontari? Mario pare avesse chiesto aiuto al capo della sicurezza delle missioni Onu perché si sentiva in pericolo. Lui cosa ha fatto? Gli ha risposto? Lo ha tutelato? Siccome è stato proprio lui a trovarlo impiccato, come mai ha allertato le autorità dopo 30 minuti? Perché far passare questo tempo? Come mai la casa è stata ripulita con la candeggina? Quando è stato fatto questo lavaggio? Visto che la scena del crimine è stata irrimediabilmente inquinata da poliziotti infedeli, successivamente chi ha garantito per i successivi accertamenti e verifiche? Chi ha esattamente presenziato alle autopsie sul corpo di Mario, con quale ruolo e con quali effettive garanzie per la famiglia? Ma soprattutto perché, perché, perché l’Onu non collabora?
P.s. Ciao Mario, mi dispiace non essermi ricordata del nostro incontro al festival del giornalismo giovane. Per quello che posso e rispettosa del lavoro altrui, farò il possibile perché la tua storia non finisca nell’oblio.