Il coordinatore della Dda di Napoli: «Lì dove sembra che non succeda nulla di grave stanno accadendo cose che meritano l’attenzione dell’Antimafia»
(30 giugno 2016) – «Ci sono delle evoluzioni criminali al Vomero su cui puntiamo l’attenzione. Anche se non ci sono omicidi non è detto che ci sia pace». Le zone “bene” della città non vedono il sangue dei morti ammazzati ma soffrono il cancro di una camorra silente. Ne è convinto il coordinatore della dda di Napoli, Filippo Beatrice che rivela che il lavoro che gli inquirenti stanno facendo sul piano strategico per fronteggiare l’ennesima emergenza camorra, non esclude i quartieri dove si spara di meno. La città divisa tra la camorra che fa i soldi e la camorra che spara. «C’è il tentativo di un controllo da parte dei clan dell’area della zona ospedaliera. Lì dove sembra che non succeda nulla di grave, stanno accadendo cose che meritano l’attenzione dell’antimafia». Quarantuno omicidi dall’inizio dell’anno per mano di bande di giovanissimi che si contendono frazioni di quartieri, seminano terrore con raid armati in motocicletta. Sono numeri lontani rispetto a quelli registrati durante le grandi faide di camorra. Nel 2000 ci furono 110 omicidi, l’anno dopo scesero a 79 poi 59 il successivo e 83 nel 2003. L’anno della faida di Scampia, il 2004, contò ben 134 morti ammazzati, uno in più rispetto ad un altro anno terribile, il 1998.
Eppure le modalità e la capillarità dei raid di questi mesi generano allarme sociale, la gente è spaventata, in alcune zone c’è il coprifuoco e ci sono stati troppi innocenti colpiti per caso. «C’è stata una evoluzione e una sostituzione di persone all’interno di questi gruppi – spiega Beatrice – nel senso che i capi storici che noi conoscevamo si sono piano piano messi da un po’ da parte o sono stati arrestati e sono cresciuti nuovi soggetti. Noi non siamo stati immediatamente pronti a contrastarli però adesso ci stiamo riuscendo. I risultati che si vedono dal punto di vista positivo si vedono anche dal punto di vista negativo: per esempio, una conseguenza è proprio questa serie di omicidi particolarmente brutti che hanno determinato dei disequilibri criminali, con anche un cambio di strategia. Per questo siamo stati più duri adottando fermi di polizia giudiziaria piuttosto che aspettare che il giudice provvedesse sulle ordinanze cautelari. Non agiamo a caso rispetto alle cose che accadono e che ci arrivano sul tavolo ma stiamo seguendo un metodo. Per questo in dda facciamo continuamente riunioni per poter capire e avere una visione d’insieme di questa nuova versione del fenomeno camorristico».
Beatrice che fu il pm della faida da 134 morti, quello che fece piazza pulita tra i Di Lauro e gli scissionisti, ammette che non è facile capire questa nuova camorra fatta di alleanze effimere, scambi di favori, prestiti di killer e nascondigli. «C’è una certa confusione. Certamente quei quartieri vicini a Forcella, i Quartieri Spagnoli, la Sanità, l’area flegrea che negli ultimi anni non avevano particolarmente mostrato una grande vivacità criminale, adesso hanno ripreso con le nuove leve. Ci sono ragazzi giovanissimi che hanno preso le redini dei clan ma si tratta di situazioni ancora in sommovimento: questi gruppi non hanno da soli la forza per poter imporsi dal punto di vista criminale in zone che non sono ampie dal punto di vista geografico ma sono invece molto popolose. Per questo restano legati ai vecchi gruppi di Secondigliano, Miano o ai gruppi di San Giovannello o Napoli Est, area importantissima perché lì ci sono una serie di bande che si fronteggiano in maniera costante. Nel sotterraneo ci sono sicuramente dei collegamenti tra le varie compagini criminali delle singole aree. Ne abbiamo conferma anche da intercettazioni ambientali e telefoniche e anche da dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Sono clan senza strategia che prediligono lo scontro».
Secondo il coordinatore della dda la caratteristica negativa di Napoli è che questa città produce un continuo cambio di criminalità. «Qui si coltiva molto la gioventù e quindi i ragazzi che sono disoccupati o che finiscono la scuola presto e che devono trovare qualcosa per poter vivere vengono reclutati sempre più spesso da questi gruppi camorristici. Così ci sono ragazzini che passano dal fare le vedette fino a far parte di quelle formazioni delle cosiddette “stese”, accettando il rischio di poter colpire degli innocenti». Beatrice sottolinea che non si può chiedere tutto alla magistratura o alle forze di polizia. «Noi facciamo un lavoro di primo impatto ma poi abbiamo bisogno di un lavoro di costruzione che ovviamente non ci compete». Ognuno faccia la sua parte: un’assunzione di responsabilità secondo il procuratore aggiunto, che si concretizza anche nello stare accanto a chi denuncia, soprattutto a chi denuncia situazioni di controllo economico da parte dei clan e di chi nella società civile si mette in prima linea in una città che ormai non ha più zone franche.
L’intervista: http://video.corrieredelmezzogiorno.corriere.it/beatrice-napoli-camorra-punta-vomero/f21393e8-3d0d-11e6-a6dc-7932fef2dbf2